Molti si domanderanno, ma chi era Federico Momo? E’ stato un grandissimo campione della bicicletta pura, della bicicletta da pista dei primissimi tempi, quando correre voleva dire avventura, e le gare su strada non erano ancora famose, e gli idoli del ciclismo erano appunto gli atleti della velocità pura. Momo fu uno dei più popolari, caratteristici e avventurosi. Era dei tempi dei Buni, dei Tommaselli, dei Pasta, dei Pontecchi, dei Singrossi, dei Pasini. Nato a Voghera, la sua città lo vedeva come primo degli eroi sportivi. A quei tempi i corridori in bicicletta erano considerati dei fenomeni, degli esseri fuori della realtà, e sulle pochissime piste accorrevano le folle più eleganti giacché le gare nei velodromi rappresentavano una festa di ricercata mondanità.
All’Arco della Pace, vicino alla Chiesa dei Frati, avevano impiantato il Ciclodromo milanese con una pista di legno di 333 metri. Imitando gli organizzatori parigini che nel 1895 avevano istituito sulla pista di cemento della Senna il Bracciale di Parigi, vittoria che concedeva al suo detentore la grande somma giornaliera di venti franchi, gli organizzatori di Milano lanciarono, nel 1896, il Bracciale Milanese con il premio di ben dieci lire giornaliere. Il primo vincitore fu Singrossi. Ma ecco che Momo, il ragazzo diciottenne di Voghera, sfida Singrossi. Il ragazzo vince. Comincia così la sua ascesa. Tommaselli sfida Momo. Momo batte anche Tommaselli. Allora più nessuno osa sfidare il monellaccio di Voghera. Cosicché Momo si tiene il bracciale per tutto il 1896 con la relativa diaria di 10 lire al giorno, con le quali, allora, si poteva offrire un banchetto a dieci persone.
Nel 1897 secondo bracciale. Vince ancora Momo, contro Singrossi e Pasini. Nell’ultima sfida contro Pasini, sulla traballante pista, Momo compie gli ultimi duecento metri in 11” 3/5. Un tempo favoloso.
La sua vita fu tutta un’avventura. Egli partì anche per la Russia. Si narrano di lui storie meravigliose. Pare che dopo le immancabili vittorie contro i più forti velocisti d’Europa, grandi slitte attendessero il nostro eroe alle porte dei magnifici velodromi d’inverno di Mosca e di Pietroburgo, con bellissime dame cariche di pellicce e di gioielli.
Poi, per lui, la Gazzetta dello Sport lanciò una sottoscrizione per una medaglia d’onore che raccolse la formidabile somma di 732 lire. Che cosa era successo? Che il Momo aveva vinto il G.P. di Parigi superando il Francese Jacquelin negli ultimissimi metri come fu dimostrato anche dalle fotografie che allora purtroppo uscivano in ritardo. Ma il giudice di arrivo, influenzato dall’urlo dei “popolari” che avevano visto entrare per primo nel rettilineo il loro favorito, diede per primo Jacquelin. E non volle assolutamente ricredersi.
Momo, lasciata la bicicletta, come molti altri corridori, passò alla moto e poi all’automobilismo, corridore e costruttore della Junior. Contribuì alla costruzione dell’autodromo di Monza e chiuse la sua carriera sportiva alla presidenza, nel 1933, dell’Unione Velocipedistica Italiana.
Estratto da articoli di Emilio De Martino e Armando Cougnet pubblicati su Sport Illustrato 1958